Edizione 2007 – Poesia Inedita

Primo classificato

Valentino Ronchi – L’anno dei matrimoni

Non è casuale l’ordito unitario della silloge di Valentino Ronchi. Strutturata a sorta di lunario, le sue scansioni sono soste di un cammino immobile, o prospettive diverse di un’unica visione variamente scorciata. Non inganni, dunque, la temporalità da calendario: l’anno dei matrimoni non segna un tempo cui sia dato trascorrere; è piuttosto figura di un indugio irredimibile, di compimenti solo intravisti – quel coniugium sempre mancato di elementi (non persone necessariamente) la cui identità cela aperture maggiori di quanto la lettera dica. L’io lirico si apparta in quell’indugio, rimane discosto, osservando in tralice eventi mai propri. E il lettore, da tale trepido pudore, accoglie il reale soggetto della poesia di Ronchi, che è canto accorato della provincia lombarda: come un discorrere sobrio, pacato, concreto di cose e persone, di paesaggi familiari in una feria perenne (se pure sia la festa a dettarne i ritmi – festa altrui, sempre discosta di un passo). Sul piano formale, un verso lungo e tuttavia insufficiente all’urgere dell’ampio fraseggio (ma un passo cadenzato, colloquiale eppure teso, lo addomestica in misure più accessibili), calca felicemente i solchi di certa illustre tradizione lombarda. Anche questo insegna a fare la piana dell’Adda: ne è diretto magistero.

Luca Pasello

 

 

I (I fidanzati)

Magra minuta occhi grandi Laura
è entrata in chiesa che io stavo fuori a fumare
a pensare a godermi la scena, da lontano: Sposarsi
di febbraio in una bella giornata di sole
freddo. Laura giocava nel cortile assieme a me
era lunghetta e spigolosa. Mi faceva
salire al primo piano per schizzare
la gente l’estate con l’acqua e nascondersi
non far più rumore. Portava i capelli corti,
ora coperti dal velo, poi a quattordici anni 
ci siamo fidanzati senza farne parola a nessuno.

 

 

 

Secondo classificato

Giovanni Caniato – Silloge senza titolo

La poesia di Caniato percorre tempo e spazio assoluti e insieme interiori – storici, anche – che è come abitare privatissimi vani eppure, praticando religiosi esercizi di memoria, tendere archi a ulteriorità utopiche e sperate. Altrove, un’epigrafe alessandrina rinsalda le fondamenta al futuro, proprio in quanto paradossale custodia delle due anteriori temporalità. Così, il tempo vissuto si fa spazio abitato, e lo spazio è terra, da scavare, scrutare, da leggere – dove l’archeologia e i frammenti ricuperati da un discorso antico sono metafora risolutiva del movimento  prediletto da Giovanni Caniato: scavo e cammino, verticalità con superficie, tragitti interiori da memorie materiali, terra (come luogo della vita o scrigno/cifrario) e tempo a venire. E, strumento d’un arte d’assieme, il falso bordone degli affetti privati.

Luca Pasello

 

 

Le uova del silenzio

Ecco gli storni ladri
a imbrattare cachi,
quando la sera
mescola il silenzio.
Lo tenevo tutto
in tasca: nido,
tesoro palpato
di nascosto, palline
d’argilla, il silenzio.

Correva per il cortile
già la notte a dare
l’ultimo tocco
ai muri, al caco;
era lì pronto
l’erpice della luna.
Strisciando, cancellando
Si avvolge la nebbia,
che annusa, che ruba
l’anima qui dentro,
dove cova
le uova del silenzio.

 

 

 

Terzo classificato

Giovanna Gelmi – Silloge senza titolo

Interno giorno, rumori e cose, le consuete: domestiche, note. L’orizzonte è infimo, si direbbe, angusto, da claustrazione asfittica. Ma proprio quello, tra i componimenti di Giovanna Gelmi in concorso, più fitto di spunti minimalistici (e però condotto su due linee a contrappunto: un vuoto e alcuni suoi possibili medicamenti) sa sovrimprimere al profilo cosale di un phon le insegne liminari dello spazio epifanico, per quanto in essa timido e labile. Poesia di contrasti, vi si comprimono prospettive claustrofobiche che amplificano, con paradossale naturalezza, gli spazi intravisibili dagli spiragli dell’usuale. O in altri luoghi l’autrice, tentando stilizzazioni vagamente jugendstil accosta, dissonanti, morte ed infanzia (anzi i rispettivi riti) per una redenzione impossibile – dove solo l’ornamento di un’ortensia sfiorita ne attutisca l’urto. Funge da tratto unitario, tra esperienze così apparentemente divergenti, la cifra di un flying up stilistico e d’intonazione che, nei passaggi migliori, è più di un semplice intento.

Luca Pasello

 

 

Interno

 

La camicia più docile alla stiratura,
compensava (almeno) di una assenza.
(La noncuranza, certo era l’apice-assillo
di un sogno costruito ed ignorato.)
Celeste piangeva il Pierrot di consueto
nella piega dell’asciugamano,
l’ammorbidente sussultava nell’aria.
(Mancavano, sai, le mani a cingerci le spalle,
mancavano memorie di pietra e di cenere,
o uno strillo bambino e i battagli
che tacevano, che tacevano…)
L’asciugacapelli in funzione
adesso mimava un brusio di raggi
da dietro lo schermo della plastica,
come fosse un’ariosa pedalata,
in marcia verso ricci del sole
via, fuori, da ogni grata inamovibile,
al vento lucido di un’idea,
come chi giù in strada guidava
un auto con la meta già chiara.
Stillava bruna, corpulenta, una lacrima
dalla susina, impregnata di attesa
e quando vibrò e poi ancora
taceva, taceva la campana,
si quietò ogni cosa in un languore
immerso in richiami ovattati, lontani.
Poi tintinnò un bicchiere.

(E fu abbastanza.)

 

 

 

Premio Under 30

Francesca Gironi – Silloge senza titolo

Secondo un’antica lezione sull’arte (da Michelangelo a Ibsen) sottrazione e scarto produrrebbero Forma. Peraltro, nonché sedare la forza irruente della materia, la forma stessa può esaltarla, orientandosi a pattern di lancinante efficacia. Ciò accade quando l’artista prediliga, tra di due opposti, possibili percorsi (interno-esterno e ritorno), quello orientato ad ex-premere urgenze inarginabili, piegando ad esse l’esito formale. Non rimane che un passaggio: per preservare da affastellamento e deformazione la leggibilità del tracciato, raffreddare in più tersi profili grida eventuali, concrezioni magmatiche o assordanti cromatismi. È la via maestra dello stilismo, un celare artem quanto mai insidioso, che Francesca Gironi percorre con coraggio. In essa, la materia è di natura sensuale e la pulsione dètta gesti e posture, pausa e dilata dettagli, dispone figure, descrive attitudini estreme. C’è molto oriente nei modi di questo rallentare e pausare e intridere di silenzio ogni spinta affiorante. E c’è molto occidente nei metri, nel controllo formale, nel trattenere pieni (non vuoti!) dallo scarto del superfluo, nel gioco tensivo – quasi settecentesco – tra sensi e intelletto. L’esito complessivo – non suoni forzato – parrebbe ierofania, non fosse che il dio che governa, qui, ha nome Eros: colui che solo celato seduce.

Luca Pasello

 

 

*

 

E’ vestita di niente
(un collare, un collant
un alfabeto di
moscerini).

Lui si sporge e appende
strisce di carta
ai rami dell’albero.

Il vento solleva
la polvere.